Senza titolo

Non ha nessun significato preciso. Solo l’ho letta in giro per la rete e l’ho trovata bellissima.

Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
E’ bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.

Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.

Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.

(Wislawa Szymborska)

La legge antifumo

Ieri sera sono stata in un locale. Beh, e fin qui che c’è di strano? C’è di strano che a me pareva che fosse entrata in vigore svariati mesi fa una legge antifumo. E che invece nel locale c’era una nebbia spaventosa e mi bruciavano gli occhi e la gola.
Domando al gestore cosa succede e scopro una cosa che mi ha lasciato esterrefatta: una sentenza del Tar del Lazio del 1 agosto 2005 (n. 6068) ha modificato in parte la legge, dispensando il gestore dagli “obblighi positivi” aggiuntivi alla esposizione dei cartelli di divieto di fumo, e cioè:
a) quello di vigilare sul rispetto del divieto di fumo all’interno del locale, di richiamare i trasgressori all’osservanza del divieto attraverso interventi attivi e formali di dissuasione e di ammonizione;
b) quello di curare che le eventuali infrazioni siano immediatamente segnalate agli agenti o ai funzionari di polizia, ovvero ai soggetti pubblici incaricati di accertare e di contestare la violazione di legge, oltre che di applicare la relativa sanzione.
Questo perchè le disposizioni, di carattere amministrativo, sono in contrasto con la riserva di legge contenuta negli artt. 23, 25 e 41 della Costituzione, ossia nella “considerazione che i doveri di vigilanza, di ammonizione e di segnalazione agli agenti di polizia, prescritti dagli atti impugnati ai conduttori dei locali privati (od ai collaboratori da essi formalmente delegati), sono privi di base legislativa”.
E ciò in quanto nella legge sul divieto di fumo (n. 3/03), che dovrebbe contenerli, non v’è alcuna specifica previsione in tal senso.

Cioè, si sono dimenticati un pezzo! e quindi ogni multa inflitta al gestore di un locale è impugnabile ed è destinata ad essere dichiarata illegittima.
E’ assurdo. Hanno fatto tanto casino con questa legge, dibattiti e controdibattiti e il risultato finale è che tutto è affidato sostanzialmente al buon senso dei fumatori stessi, che sono gli unici che rischiano la multa.
Ovviamente il gestore del locale non ha alcun interesse a imporre il divieto, ora che non rischia più nulla. Anzi, se nel suo locale si fuma, gli avventori non vanno sulla porta a fumare e lui non rischia più la denuncia da quelli del piano di sopra per schiamazzi. Dopodichè, lui i cartelli li ha esposti ed è in regola, e se i clienti fumano non è colpa sua. E se ieri sera c’era più dei due terzi degli avventori che fumavano e il povero terzo restante stava per morire soffocato, pazienza.

******************

shhh e speriamo che a torino questa cosa non arrivi mai per fortuna qua si respira ancora!
Nightwhisper (email) (link) – 28 11 2005 – 15:38

ma quello è lord max! ed ha in mano un gatto!
Nightwhisper (link) – 30 11 2005 – 18:48

sì… il gatto è harlock, il micio della kame house, e la foto è stata scattata durante torinocomics, anzi, per essere precisi alla sera dopo la fiera… lordmax adora i gatti! e harlock ha un carattere che è proprio difficile non amarlo… cosa c’è di strano? oppure anche tu hai capito solo adesso chi sono, più o meno come me che l’ho capito circa mezz’ora fa? ;-)
hachi – 30 11 2005 – 19:33

Pazienza, torneremo al punto di usare la violenza fisica con chi fuma o, peggio, la violenza psicologica.
Se vado in un locale dove so che si fuma mangio tonnellate di fagioli ed aglio, vediamo chi la spunta.
LordMax (link) – 01 12 2005 – 13:55

E dove sarebbe questa oasi?
fmf (link) – 01 12 2005 – 15:09

Ops, si puo’ levare la mia mail dal commento li’ sopra?
Grazie.
fmf (link) – 01 12 2005 – 15:11

non te lo diremo mai… poi ci vieni a fumare addosso! ;- ))
hachi – 01 12 2005 – 16:03

No, dai, giuro di no.
Vado, chiedo se c’e’ hachi e poi eventualmente fumo…

+++

(Grazie per la mail)
fmf (link) – 01 12 2005 – 16:52

temo che il gestore non mi conosca per nick… in realtà sono pochi quelli che mi chiamano così… ;-)
hachi – 01 12 2005 – 19:08

E’ abbastanza ovvio che le cose siano finite
cosi`. Anche altre leggi approvate ultimamente
hanno parti che ne rendono impossibile
l’applicazione.
E nel caso specifico si e` dimostrato che
il meglio e` nemico del bene: la legge in
questione prevede tutta una serie di obblighi
per i gestori di locali per fare salette
per fumatori, con il risultato di renderle
molto costose.
Pochi locali hanno queste salette.
Con requisiti meno stringenti, probabilmente
le salette per fumatori sarebbero piu`
diffuse ed il problema sarebbe risolto in
partenza.
Prima della legge c’erano diversi locali con
salette per non fumatori e la cosa funzionava.
MD – 13 12 2005 – 15:32

Per fortuna qui a GE ancora tutto bene… E se qualcuno fuma gli chiedo io di smettere. E se non smette, beh, c’è sempre il 113.
Ander (email) (link) – 28 01 2006 – 18:51

^__^

Visto che ho deliziato i miei quattro lettori con depressioni varie assortite per diversi giorni di seguito, e anche quando cercavo di scrivere un post meno personale sono finita a parlare di cose tristi lo stesso, volevo solo informarvi che oggi sono di umore migliore. :-)
Per i dettagli, vedremo più in là…
Mi aspetta un weekend piuttosto impegnativo, visto che sarò in fiera a Milano . Domani c’è da smontare e inscatolare mezzo negozio e sabato si parte all’alba. Due giorni di fiera, dieci ore di apertura al giorno, disallestimento ecc.. lunedì sarò morta. Ma lunedì mi aspettano due fornitori, l’amministratore di casa e il commercialista…. per fortuna in mezzo c’è il pranzo dalla mamma!

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buone notizie allora! :D

ps il mio provider a volte fa le bizze riprova il sito torna online :D
Nightwhisper (email) (link) – 25 11 2005 – 11:58

“Non riattaccare”

Proviamo a scrivere un post “normale”…
Ho letto un libro in questi giorni, “Non riattaccare” di Alessandra Montrucchio. Seguo quasi ogni settimana la sua rubrica su Torinosette ed è sempre ironica e divertente. Ma il libro ha un argomento tragico: Torino, notte, una lei che non riesce a dormire, un telefono che suona, un lui che è l’ex di lei e che la chiama perchè ha deciso di suicidarsi. E che è a Ginevra. Il libro racconta la corsa contro il tempo che lei ingaggia per arrivare da lui, facendolo parlare per tutta la notte, per tutto il viaggio. Tutti i numerosi articoli apparsi per l’uscita di questo libro facevano riferimento al finale, io ero ababstanza infastidita, caspita, ce l’ho in borsa che mi segue da giorni, non voglio sapere come va a finire prima ancora di inziarlo. Poi una sera l’ho aperto e non ho potuto posarlo finchè non sono arrivata alla fine, con una specie di tensione. Ce la farà? Arriverà in tempo? E se arriva e lo salva, poi si riconcilieranno? In fondo se lui ha cercato proprio lei per farsi salvare, qualcosa vorrà dire, no? Il mio animo romantico faceva il tifo per questa coppia scombinata, per quest’uomo troppo fragile e per molti aspetti assolutamente infantile di cui è evidente che è fin troppo facile innamorarsi e per questa donna fragile a suo modo anche lei eppure capace di buttarsi in un’impresa folle e disperata, che prima ancora che salvare lui mira a salvare se stessa, a ricostruire qualcosa della sua tranquillità, del suo equilibrio che l’abbandono brutale e senza spiegazioni di lui ha mandato in pezzi. E’ bellissima la pagina in cui lei racconta la sua lotta quotidiana col tempo, dopo che ha cercato di fingere che va tutto bene e che anche dopo la rottura con lui la sua vita è proseguita sui consueti binari.

“Senti, smettiamola di girarci intorno, okay? Abbiamo detto che è l’ora della verità, e allora la vuoi sapere una cosa? Io lo so che cosa significa volersi buttare di sotto, anche se per me è solo la tromba delle scale, e sai da quanto lo so? Da quando mi hai lasciata, sì, meschinamente e romanticamente è da quando mi hai lasciata che lo so. Vuoi sapere come sono le mie giornate, da q1uando mi hai lasciata? Be’, ci sono due giornate-tipo. Giornata-tipo numero uno. Mi sveglio ed è atroce, perchè sbatto contro una vita senza di te ed è peggio che sbattere contro un muro, è come sbattere contro una sega accesa, e se mi alzo non è perchè voglio alzarmi, anzi, se andassi dove mi porta il cuore morirei di abulia, mi alzo soltanto perchè se resto a letto la sega si incanta e continua a tagliarmi e rimandarmi indietro, a tagliarmi e rimandarmi indietro, e allora mi alzo e mi dico dài, la sfida di oggi è arrivare all’ora di pranzo, perciò metto su il caffè e dedico a ogni minimo atto meccanico un’attenzione paranoica, stare attenta che non si versi neanche un granello di zucchero mentre lo verso nella tazzina e stronzate simili, almeno così guardo meno la porta e non penso troppo alla tromba delle scale, e finalmente arriva l’ora di pranzo e per un istante, solo per un pazzesco istante mi sento euforica, ebbra, ce l’ho fatta! ce l’ho fatta! ma poi l’istante passa e passa anche l’ora di pranzo e davanti agli occhi mi si pare un demone degli inferi, la consapevolezza che devo ancora affrontare tutto il pomeriggio e tutta la sera, e allora esco e magari sto fuori un’ora o anche due, ma poi sono di nuovo a casa con quell’invitante tromba delle scale subito al di là della porta, e quindi cerco di badare ad altro, ma a che cosa? non c’è niente a cui badare, me lo devo creare io qualcosa a cui badare, e così mi metto a ripetere una frase con varie intonazioni e accenti finchè non diventa una filastrocca, oppure butto per terra delle cose e le rompo così ho qualcosa da fare, raccogliere i cocci, e ho anche un dolore diverso perchè quelle cose le amavo e le ho sacrificate per nulla. O magari faccio per ore lo stesso movimento sperando che mi ipnotizzi o mi purifichi, ed è ora di cena e butto giù un pezzo di formaggio muffo e tiro le dieci, e alle dieci mi concedo un sonnifero e sparisco fino al mattino”.
Il silenzio copre il fruscio del motore.
“E la giornata-tipo numero due?” La sua voce ha messo la sordina
“Be’, certe mattine mi dico, ma perchè affrontare la giornata, se posso evitarlo? Così prendo un sonnifero, dormo otto ore, prendo un sonnifero, dormo otto ore e così via”
Il silenzio sul fruscio del motore, sull’autostrada deserta, abbandonata all’ombra mostruosa delle montagne.
“Come hai fatto a resistere alla tromba delle scale?”
Dovrebbe chiederti scusa, dirti che si sente una merda per averti lasciata, spiegarti il perchè – e poi aggiungere che ha commesso un errore terribile, che ti ama ancora e che vivrà, se lo perdoni, che vivrà grazie a te e per te. Ma per farlo dovrebbe sentirsi in colpa, e lui non può sentirsi in colpa, stanotte. La colpa gli darebbe un senso, quello dell’espiazione.
“Non ho abbastanza energia per uccidermi”

Il libro è anche fresco di stampa, per cui non voglio rovinare a nessuno il finale. Che non è nessuna delle cose che si pensano leggendo il libro, è imprevedibile, crudele, ironico, di un’ironia cattiva. Ci sono rimasta malissimo. Guardavo la pagina finale del libro e mi dicevo che non poteva finire così.

Confusione

Sto cercando per il momento invano di fare ordine, materiale e no, nella mia vita. Stamattina ho fatto la casalinga frustrata e ho pulito la cucina. Sto male esattamente come prima, ma almeno la cucina è un po’ più pulita e le gatte avranno da divertirsi a mettere di nuovo tutto in disordine. Poi stavo per uscire senza dare i croccantini, però… Anche qui in negozio ci sarebbe bisogno di una sistemata. E soprattutto ne avrei bisogno io. Sono completamente confusa, faccio una cosa e penso l’esatto opposto, e non riesco a trovare un punto fermo che sia uno. Ho paura, sono spaventata da quello che è successo e dalle prospettive, tutte a tinte fosche, che vedo. Non riesco a pensare ad altro, non riesco a scrivere un post decente che non riguardi i miei personalissimi casini, spero che questi post vengano letti dalla persona “giusta” ma so che non servirà a nulla lo stesso, e tuttavia non posso non farlo. Alcuni amici si stanno occupando fin troppo di quello che è successo, altri da cui speravo di trovare appoggio invece paiono non essere disposti a darne. Ho perso tutti i miei punti di riferimento, quei pochi che avevo.

Perchè?

Perchè…? perchè…? questo angoscioso interrogativo si pone ogni volta che qualcosa va storto, specialmente nel delicato campo dei sentimenti. Perchè mi hai lasciato sola? Perchè dici di non volermi più? Perchè mi hai trattato così male? Perchè… ? Ogni volta una tragedia. Ogni volta una ricerca frenetica di una risposta a quei perchè, solitamente vana e infruttosa e capace al più di esacerbare maggiormente gli animi. Ricordo di aver “perseguitato” un paio di miei amori adolescenziali (ehm… uno non troppo adolescenziale…) con la ricerca del perchè. Me ne vergogno ancora un poco adesso.
Adesso però ho scoperto una cosa: la risposta al perchè serve. E’ assolutamente vero quello che ho sempre sostenuto, cioè che se avessi saputo almeno il perchè sarei stata un po’ meno male e sarei riuscita a farmene una ragione in tempi più rapidi. Funziona. Adesso che forse ho capito, che ho almeno una possibile spiegazione, sono in grado di accettare l’ultima “tegola” che mi è caduta sulla testa e che mi ha distrutto in questi giorni, togliendomi il sonno e l’appetito e qualunque motivo per andare avanti. Inaspettata e quindi ancora più dolorosa. Non condivido quello che pare esserci dietro la tegola, ma provo a capirlo, e lo accetto. Provo ad usarlo per i motivi che dovrebbero averlo originato. Non so se mi riuscirà, nè fino a che punto, ma ci provo. Sono più serena. Posso farcela anche questa volta.
Ma quando sarà finita, lo prometto, non ti chiederò: perchè? ^__^

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Non sei sola. Non lo sei stata mai. Ci sono tante persone che ti sono vicine, che hanno condiviso e sofferto insieme a te. Siamo ancora qui: spalle su cui piangere, braccia da cui farti abbracciare. Non sei sola.
Alex (link) – 18 11 2005 – 13:51

Stanchezza

eri sera sono uscita con un’amica, una di quelle che ti tengono di buon umore “per forza”. Ha funzionato, ho anche riso e scherzato, ma non è servito a calmare l’ansia. Sono tornata a casa e ho letto a lungo, poi sono rimasta semplicemente sul divano con la micina in braccio, ad aspettare che passasse ancora un po’ di tempo. Sono andata a dormire e non ho chiuso occhio. Ho passato la notte sveglia, per un po’ una delle gatte accoccolata sul letto ha fatto le fusa. Non so quale delle due fosse, non potevo girarmi a guardare perchè l’avrei disturbata, ma quel suono era meraviglioso. Quando ha suonato la sveglia mi sono alzata a fatica, la testa pesante e l’ansia immutata. Ho fatto la doccia, mi sono lavata i capelli quasi solo perchè era piacevole l’acqua calda addosso. Mi sono riavvoltolata in una maglia di quelle in cui ti ci puoi affogare dentro e in una sciarpa morbida. Non ho messo le lenti a contatto. Non mi sono truccata. Sono uscita. Fa freddo oggi. Sarebbe stato meglio rimettersi sotto le coperte. Adesso sono al lavoro. Dopo tutta la tensione e tutto il batticuore di queste ultime ore mi sento uno straccio. La visione dei referrers del blog ha peggiorato la situazione. Dovrei avere il coraggio di nasconderli e smettere di guardarli. Non ho nessuna voglia di affrontare la giornata.

Non riesco a scrivere. Non riesco a sublimare la delusione e l’angoscia e a farmi tenere compagnia da quello che scrivo. Magari servirebbe, mi farebbe sfogare un po’, incanalare le energie in qualcosa di positivo. Ma non ci riesco proprio. Guardo la pagina bianca e non mi comunica nulla. Il vuoto assoluto.

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Ciao Hachi! mi fai sapere se adesso visualizzi il mio blog con mozilla/firefox? ho tolto il badge di flickr… credo fosse quello a mandarmi tutto in palla.
minpepp (link) – 17 11 2005 – 09:50

Lauro

Molti anni fa adoravo Andrea De Carlo. Poi ho iniziato a trovare insopportabile il suo modo “finto-naturale” di scrivere e ho smesso completamente di interessarmi alla sua produzione.
Qualche mese fa ho letto di nuovo qualcosa di suo, attirata dalla trama, e in effetti non sono rimasta delusa. Purtroppo però non ho avuto il buon senso di fermarmi lì e ho proseguito con “Giro di vento”. Ho fatto fatica a finirlo, ma mi seccava lasciarlo a metà.
Ho fatto bene a finirlo perchè proprio nelle ultime decine di pagine, in mezzo a una storia banale e scontata, con un finale ancor più banale, c’è questo pezzo:

Lauro dice “Com’è una tua giornata media?” la fissa con un grado sconcertante di attenzione.
“Non voglio neanche pensarci”
“Dammi un’idea dice Lauro, senza allentare la presenza dello sguardo. “Solo un’idea”
Luisa sbuffa, dice “Un continuo zigzagare tra mille cose”
“Veloce?”
“A tratti” dice Luisa “A tratti speventosamente lento”
“E sono cose che ti interessano?”
Luisa non sa se rispondere o no; dice “Alcune che mi interessano, altre per niente”
“In quale proporzione?”
“Non lo so, non ci ho mai pensato”
“Pensaci adesso” dice Lauro
“Cinquanta-cinquanta” dice Luisa, attenta a non fare affiorare la minima morbidezza comunicativa agli angoli della bocca e degli occhi.
Lauro dice “Ma a parte l’interesse e il non interesse. Ce ne sono che ti piacciono ?”
“Certo che ce ne sono” dice Luisa
“In quale proporzione con le altre?”
Luisa pensa che non avrebbe dovuto lasciarlo cominciare a far domande; dice “Cos’è, hai bisogno di rinnovare il tuo catalogo di miserie del mondo civilizzato?”
“No” dice Lauro perfettamente serio “Voglio solo sapere in quale proporzione sono le cose che ti piacciono con quelle che fai solo perchè le devi fare”
Luisa dice “Non lo so”
“Davvero?” dice Lauro “Non ne hai neanche una minima idea?”
“Ne ho una minima idea” dice Luisa “ma sono fatti miei, non ti pare?”
“D’accordo” dice Lauro, in un tono che a questo punto può essere solo assurdamente finto o assurdamento autentico “Chiedevo soltanto”
(…)
“Sarà di uno a cento la proporzione. Forse di uno a mille. E anche le cose che mi piacciono probabilmente sono surrogati di altre cose che non ho”
“Per esempio?” dice Lauro; non sembra stupito dalle sue parole.
Luisa ci pensa; dice “Per esempio mi piace lavorare intorno a un bel libro pieno di idee, scritto in uno stile affascinante. però credo che preferirei essere dentro una vera situazione che mi desse le stesse sensazioni, se potessi scegliere”
“E non ti capita mai?” dice Lauro “Con tuo marito e i tuoi amici?”
“Boh” dice Luisa
“Mai?” dice Lauro; adesso sembra che la guardi con un’espressione compassionevole
“Ogni tanto” dice Luisa in un ritorno di imbarazzo “A programmare tutto con molto anticipo e molta cura e ad avere la fortuna incredibile che tutti i pezzi vadano insieme”
“Quali sarebbero i pezzi?”
“Lo spirito, gli umori, il tempo, le intenzioni, il luogo, le persone, le infinite coincidenze indispensabili, eccetera” dice Luisa
“E questo ogni quanto succede?” chiede Lauro
“Ogni tanto” dice Luisa, fa uno sforzo per continuare a guardarlo in modo periferico senza girarsi frontalmente verso di lui
“Quanto spesso?” dice Lauro
“Non lo so” dice Luisa
“Più o meno?”
“Non spesso” dice Luisa, vorrebbe chiudere la conversazione, farla finita
“Si vede dal tuo modo di sorridere” dice Lauro, le punta contro uno stecco
“Quale modo?” chiede lei sulla difensiva
“Lo sai benissimo” dice Lauro, fa girare lo stecco
“No che non lo so” dice Luisa, guarda via per far defluire il discorso altrove
“Hai un sorriso controllato” dice Lauro “come se ci fosse una parte di te che sorveglia l’altra tutto il tempo e non le lascia mai fare quello che vorrebbe”
“Non è vero” dice Luisa “Come dovrei essere, secondo te, un’esuberantona tutta impulsi irriflessivi?”
Lauro ride, dice “No, basterebbe che ti liberassi della sorvegliante”
Luisa è pentita di essersi scoperta con lui fino a questo punto, eppure c’è una parte di lei che cerca di spingerla ancora oltre: i muscoli e i nervi della faccia le fanno male per lo sforzo di contenimento.
“Quello che conta è che ti vada bene così” dice Lauro
Luisa dice “Chi te l’ha detto che mi va bene?”
“E’ la tua vita, no?” dice Lauro
“E allora?” dice Luisa con una vena del rancore di quando è smontata da cavallo
Lauro dice “Se non ti andasse bene la cambieresti, no?”
“Con cosa?”
“Con un’altra” dice Lauro
Luisa ride per l’esasperazione, dice “Una vita è come una faccia. Chiunque vorrebbe averne una diversa, almeno ogni tanto. Però hai quella che hai, non ci puoi fare niente”
“Lo sai che non è così” dice Lauro “Puoi avere la faccia che vuoi, se hai abbastanza idee e stimoli e curiosità dentro la testa”
“Che frase del cavolo” dice Luisa
“Ma è vero” dice Lauro
“Ma va” dice Luisa “Sono cose che puoi pensare giusto quando hai sedici anni, quando non hai la minima idea di cosa sia una vita”
“Allora anche tu lo pensavi?” dice Lauro “A sedici anni?”
“Probabilmente, come chiunque” dice Luisa, rapida
“E cosa pensavi?” dice Lauro
“Pensavo che avrei potuto essere mille persone diverse”
Lauro sorride, come se avesse vinto una scommessa o dimostrato un punto o come se fosse contento per ragioni più semplici.
Luisa va avanti lo stesso; dice “Mi sembrava di avere intorno una varietà illimitata di vite possibili. Ognuna con i suoi modi i suoi luoghi le sue migliaia di dettagli possibili”
“Tipo?” dice Lauro
“Non lo so” dice Luisa
“Sì che lo sai” dice Lauro “Smettila di fare la reticente”
“Non faccio la reticente” dice Luisa; sente le guance che le si arrossano
“Allora sii più precisa”
Luisa guarda gli alberi dall’altra parte dell’acqua; dice “Non lo so, un giorno magari pensavo che avrei potuto fare la ballerina, un altro giorno la scienziata”
“Davvero?” dice Lauro, sembra inspiegabilmente partecipe delle sue parole
Luisa dice “O l’esploratrice, l’attrice, l’avventuriera, la maestra d’asilo, la mantenuta, la ladra, l’impiegata di banca, la casalinga. Pensavo che avrei potuto vivere in cento case diverse, in cento città diverse. Con cento uomini diversi. Pensavo che avrei potuto imparare chissà quali lingue, adattarmi a chissà quali climi. Pensavo che avrei potuto fare due o tre o cinque figli, non farne nessuno, fare io la figlia di qualcuno”
“E poi?” dice Lauro
“Poi sono cresciuta”
“E?” dice Lauro
“E ho capito che erano solo idee immature” dice Luisa “Che la vita è un’altra cosa”
“Cos’è?” dice Lauro
“E’ quello che hai” dice Luisa “Quello che sei. Quello che fai. Le persone che conosci. Il luogo dove vivi. Le tue cose”
“Non è vero” dice Lauro con un impeto improvviso “La vita è quello che ti immagini. E’ quello che cerchi. E’ quello che vuoi. Devi solo avere l’energia per scoprirlo e per andarle dietro, senza lasciarti paralizzare dalla paura di restare delusa o di farci una brutta figura con gli altri. Perchè tanto noi non siamo questo”
“Questo cosa?” dice Luisa con una sensazione di incertezza totale
“Questo” dice Lauro, si batte una mano sul petto, sulle gambe “Sono solo dei buoni strumenti temporanei, finchè durano. Ma è ridicolo che noi pensiamo di essere i nostri corpi o le nostre facce o i nostri nomi. Che ci crediamo fino al punto di farcene paralizzare”
“Io non ho paura” dice Luisa visto che non sa cos’altro dire
“Sì che ne hai”
“No” dice Luisa, furiosa per come è caduta in questo scambio, e per come non riesce a venirne fuori.
“Hai paura” dice Lauro “Sennò cambieresti vita. Riconosceresti che questa non ti va bene e la cambieresti. Ci proveresti, almeno”
“Allora com’è che tu non lo fai?” dice Luisa, con uno strappo esasperato di voce.
“L’ho fatto” dice Lauro “Da anni”
“Però sei di nuovo scontento della tua vita” dice Luisa
“Cosa ne sai tu?” dice Lauro
“L’hai detto”
“Non l’ho detto”
“Sì che l’hai detto, hai detto che non era questo che avevi sognato quando siete venuti a vivere qui”.
“Non è quello che avevo in mente in origine” dice Lauro
“Dunque non lo è” dice Luisa senza arretrare di un centimetro
“Ah, smettila” dice Lauro. Le volta le spalle. Raccoglie un sasso piatto, lo fa rimbalzare sull’acqua del piccolo fiume.
Luisa pensa che è decisamente patetico, ma che lo è anche lei: che nessuno dei due ha una postazione rialzata da cui poter osservare l’altro e permettersi grandi giudizi conclusivi.

Io il mio Lauro credevo di averlo trovato. Ma forse non era vero. O forse sono io che non ho saputo trattenerlo.

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“Non è vero” dice Lauro con un impeto improvviso “La vita è quello che ti immagini. E’ quello che cerchi. E’ quello che vuoi. Devi solo avere l’energia per scoprirlo e per andarle dietro, senza lasciarti paralizzare dalla paura di restare delusa o di farci una brutta figura con gli altri. Perchè tanto noi non siamo questo”
LordMax (link) – 15 11 2005 – 17:53

Il foglio bianco

Il foglio bianco non mi ha mai fatto paura, neanche quando andavo a scuola ed ero un’assai mediocre studentessa.
L’aspettativa della pagina bianca che è lì pronta a ricevere le idee… il pennino che gratta leggermente sulla carta… ah, sì, io sono una fan della penna stilografica, con inchiostro colorato ma senza follie, o nero, indelebile. E’ una sensazione indescrivibile. Sono tutta contenta, anche se non ho scritto ancora una sola riga. Il solo pensiero del lavoro che mi aspetta basta a calmare le mie ansie, scrivere è rilassante e a volte addirittura terapeutico. Scrivo a mano, poi se è il caso ricopio al computer e nel frattempo sistemo quello che ho scritto. Così non sono vincolata da fili e prese di corrente e posso seguire i miei tempi. Quest’estate scrivevo di notte, in cucina, con le gatte sul tavolo a guardarmi. Si stava così bene. Quello che si stava sviluppando sulla carta mi teneva compagnia, quando ho finito ero molto triste per dovermi congedare dai miei personaggi.
Adesso non so ancora bene cosa verrà fuori, ma sono due giorni che guardo il quaderno nuovo, ed è l’unico momento in cui davvero mi sento quasi in pace con me stessa.
Sono pronta per iniziare.

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Ti comprendo profondamente… scrivere è una delle forme più positive di sperimentazione, ricerca e scoperta del mio paesaggio interiore…

Buon lavoro!
ViktorNavorski (link) – 11 11 2005 – 17:06

Trenitalia, grazie per l’ottimo servizio…

Manco a farlo apposta, mi collego al post di pochi giorni fa del blog di LordMax che si lamentava dei servizi di trasporto.
Ahimè, ho avuto la brillante idea di andare a Lucca in treno.
Viaggio d’andata.
Partenza alle 23,05, dopo una giornata di lavoro. Tutti gli sportelli automatici sono fuori servizio. Una sola biglietteria è aperta, peraltro c’è scritto che chiuderà alle 23,15, mi chiedo come faranno gli sventurati viaggiatori dei treni successivi.
Riusciamo a fare i bliglietti, arriviamo un po’ trafelati al binario: il nostro treno è transennato, alcuni addetti controllano i biglietti e inviano i viaggiatori al loro vagone: insomma, il treno è composto quasi completamente da vagoni letto e solo due carrozze sono “normali”. E ovviamente sono tutte prenotate e pienissime. E ovviamente noi non abbiamo prenotazione.
Fino a Genova viaggiamo scomodissimi in corridoio. Poi un altro treno viene agganciato al nostro e la situazione migliora un poco.
Arriviamo in perfetto orario a Pisa e qui ci facciamo una simpatica sosta (prevista) per il cambio. Per fortuna troviamo un bar aperto tutta la notte e quindi aspettiamo in un luogo un briciolo più confortevole rispetto alla sala di attesa della stazione.
La seconda brevissima tratta è senza particolari problemi e alle 6 arriviamo a Lucca.
Viaggio di ritorno.
Il treno (un Intercity) da Pisa dovrebbe partire alle 18,40. Dovrebbe. Viene annunciato un ritardo di oltre un’ora. Dieci minuti più tardi rispetto all’orario di partenza ce n’è un altro, che però è un interregionale e arriva a Torino circa un’ora e mezza dopo l’altro (sempre da orario). Lo prendiamo, anche se abbiamo già pagato il supplemento per l’intercity. Almeno siamo in treno, e troviamo anche posto. Poco prima di Alessandria sosta imprevista. C’è stato un incidente, dobbiamo raccogliere i “naufraghi” di un altro treno e restiamo fermi per un’ora buona. Arriviamo a Torino all’una meno cinque, giusto in tempo per perdere anche l’ultimo pullman…

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Mi scuso per l’invasione di blog, però a me è andata anche peggio.
Partenza per Lucca da Roma alle 8:47, arrivo verso le 12:00. Il mio treno, un interregionale da Napoli a Milano, arriva in ritardo di 15 minuti, ed è talmente pieno, ma tanto pieno, che non possiamo partire, tant’è che alcuni vengono fatti passare su un eurostar per poter partire. Partiamo con 64 minuti di ritardo, io sto in piedi, stretto come sull’autobus nello spazio davanti al bagno. Dopo la partenza, tra soste in mezzo alla campagna, e le fermate alle stazione, il treno accumula 2 ore precise di ritardo. E così il viaggio da 4 ore passa a 6, tutte e 6 in piedi, stretto come sull’autobus, con sobbalzi e spintoni ogni curva, o scambio…
Panoramix (email) – 02 11 2005 – 18:46

però… complimenti… sigh.
e adesso come va la schiena? : )
hachi – 02 11 2005 – 18:59

Fortunamente sono giovane (anzi piccolo), e dunque non ho risentito troppo del viaggio, mi è bastato scendere a sgranchirmi una volta durante il viaggio…
Appropo’ mi è dispiaciuto non averti incontrato, speravo di vederti tramite LordMax, ma neanche lui mi ha saputo dire, comunque in caso io stavo allo stand daVinci. (ero il più giovane)
Panoramix (email) – 02 11 2005 – 21:35

ops, mi spiace del mancato incontro. allo stand DaVinci martedì ho fatto pure la demo di Palatinus, quindi mi sono fermata un po’! spero alla prossima occasione!
hachi – 03 11 2005 – 11:32

Allora magari lo hai incontrato e ti ha fatto giocare lui.
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LordMax (link) – 03 11 2005 – 11:39

no. il dimostratore che ho beccato, mi spiace per lui, era noioso e non certo il più giovane. forse l’esatto contrario…
hachi – 03 11 2005 – 13:19

E poi io martedì non c’ero. Il dimostratore com’era? Giusto per capire chi era. Comunque, alla prossima occasione ci mettiamo d’accordo, così do un volt a questo blog!
Panoramix (email) – 03 11 2005 – 15:18

ti ho risposto per email! ciao
hachi – 03 11 2005 – 17:11

Ma mettere i numeri in italiano?
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LordMax (link) – 04 11 2005 – 09:44

LordMax, che intendevi?
Panoramix (email) – 04 11 2005 – 21:56

adesso è a posto. max alludeva al fatto che l’elenco commenti dava il numero in inglese per un problema di traduzione degli elenchi… non mi era mai capitato di arrivare a simili cifre e così non me ne ero mai accorta!
hachi – 05 11 2005 – 19:20

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