Ho deciso di tagliarmi i capelli.
lo so, ci ho messo un sacco a farli crescere così. ma non li sopporto più, sono sempre da lavare, devo tenerli legati sennò tengono ancora più caldo, hanno bisogno di tonnellate di balsamo altrimenti non riesco nemmeno a infilare il pettine in mezzo.
e poi ho bisogno di cambiare e come al solito “darci un taglio” è più facile sui capelli che su altro… da qualche parte bisogna iniziare…
credo che andrò dal parrucchiere in pausa pranzo.

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Eddai! Sono a favore dei colpi di testa…in tutti i sensi! ;o))))
Des (email) – 26 07 06 – 14:20

Io porto i capelli corti da sempre. Lunghi son belli, specie se hai bei capelli, ma corti sono troppo pratici!!!
minpepp (email) (link) – 22 08 06 – 20:56

Ottima idea!!! Ho portato i capelli lunghi per anni e non lo rifarei più.
Elena (email) – 16 09 06 – 13:23

ho fatto un pochino di pulizia tra i link. ce ne erano alcuni che non visitavo da secoli perchè non mi interessavano più, altri che sono chiusi… è incredibile quanto sia alta la mortalità tra i blog.

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L’importante è che io ci sia ancora…
CIAO
ivanhawk (link) – 25 07 06 – 13:57

sono un’extraterrestre. una strana creatura piovuta da chissà dove. sulla testa ho due sottili antenne alla cui sommità si trovano due sferette verdi e rosa, simili a quelle ridicole Astrelle che usavano le piccole terrestri una ventina di anni fa. ogni tanto ho qualche scontro coi terrestri che non sono molto educati e fissano le mie antennine e la sfumature verde della mia pelle… mi dà fastidio che lo facciano.
mi capita di incontrare dei miei simili, siamo pochi ma non sono certo l’unica capitata su questo buffo pianeta. solo che gli altri paiono meglio attrezzati di me per uniformarsi ai terrestri e spesso preferiscono la loro compagnia e così finisce che io resto sola…

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Io ho le antennine come l’ape Maia, tutte nere con le pallotte tonde gialle in cima, che male c’è. Ma a me non da fastidio che la gente le guardi ;o)
Des (email) – 21 07 06 – 13:04

Ma no che non sei sola… guardati bene in giro, vedrai che ce ne son altri come te!
minpepp (email) (link) – 23 07 06 – 14:22

ci ho messo qualche giorno a ricopiarlo al computer. non so, forse è che domenica l’ho scritto, poi l’ho riletto, rivisto, corretto e copiato di nuovo a mano, ma non riuscivo a trovare lo spirito giusto per lavorarci ancora su.

di cosa sto parlando? del racconto che ho scritto per Cascina Macondo.
se volete leggerlo lo trovate qui di seguito.

INCONTRI

Il suo motto era “Vietato perdere tempo”.
Odiava gli imprevisti, programmava tutto fino nei minimi dettagli in modo da ottimizzare i tempi e non sprecarne nemmeno un po’.
Odiava anche i viaggi, pericolosi sovvertitori dell’ordine, ma il suo lavoro lo costringeva a compierne parecchi. Lui ne avrebbe fatto volentieri a meno, stava così bene in ufficio!
Era solo un fastidioso effetto collaterale della sua perfezione. Doveva fare tutto al meglio, e in questo erano ahimè compresi anche i viaggi di lavoro.
Quando era stato assunto naturalmente si era dato anima e corpo alle sue nuove responsabilità, doveva essere il migliore e così era stato. In capo a pochissimi anni era diventato l’insostituibile braccio destro del direttore, un uomo col suo stesso carattere che avrebbe potuto trovare insopportabile quel suo “gemello” oppure riconoscerlo come tale.
Ma l’aumento di prestigio sul lavoro aveva portato un aumento di responsabilità e la costrizione a frequenti viaggi.
Non aveva mai dato molto peso allo squallore della sua vita sociale: non aveva certo tempo da perdere con feste, appuntamenti e altre sciocchezze del genere. La sera faceva sempre tardi in ufficio e quando tornava a casa spesso finiva per per continuare ancora a lavorare perchè gli era venuto in mente un qualche cosa che assolutamente andava rivisto.

Aveva un posto prenotato in prima classe. Odiava il treno. Se proprio doveva viaggiare preferiva l’aereo, più comodo e più veloce, ma questa volta la distanza era troppo breve e aveva dovuto obbligatoriamente scegliere il treno.
Era pieno, anche il vagone di prima classe era affollato. Mentre cercava il suo posto, sperava di trovarlo libero. Quanto erano sgradevoli le discussioni sul genere “Scusi quello sarebbe il mio posto”!
Fortunatamente lo era, ed era anche libero quello accanto. Meglio così, aveva più spazio, anche se i posti di prima classe erano già abbastanza confortevoli.
Tirò fuori il computer portatile, lo accese e si immerse nel lavoro, concentratissimo. Ci riusciva facilmente, se anche c’era rumore lui non lo sentiva neppure, tutto preso da ciò che stava facendo.
Verso la metà del viaggio fu costretto ad interrompersi per l’arrivo della donna che aveva prenotato il posto a fianco al suo; la fece passare, spostò alcune cose che aveva appoggiato sul sedile e riprese a lavorare. Leggeva, concentrato sullo schermo, ma non poteva non accorgersi di essere osservato. Quella donna non gli toglieva gli occhi di dosso!
Dapprima non se ne era quasi accorto, poi però man mano quello sguardo gli era come entrato dentro, lo metteva a disagio. Provò ad alzare gli occhi, più volte, rapidissimo, nel tentativo che lei non se ne accorgesse. Non notò molto, solo che lei non stava facendo assolutamente nulla se non osservarlo e questo lo metteva sempre più a disagio.
Non riusciva a lavorare.
Si sentiva quegli occhi chiari puntati addosso, come se volessero scavalcare la superficie e guardarlo direttamente dentro.
Spazientito, chiuse il computer e si alzò.
Non aveva un motivo per farlo, se non sfuggire a quello sguardo. Andò fino alla toilette, tornò indietro, provò a riprendere il lavoro.
Nulla, la concentrazione era svanita, assorbita da quegli occhi che lo fissavano con un’espressione tra lo stupito e il curioso.
Alzava spesso lo sguardo anche lui, irritato. Sperava forse di indurre lo stesso disagio che provava, ma sembrava assolutamente inutile. Lei continuava a guardarlo senza il minimo timore di essere notata, mentre lui non riusciva a fare a meno di abbassare frettolosamente gli occhi non appena lei, anziché fissare la sua cravatta – o almeno così gli sembrava – lo guardava direttamente negli occhi.
Pensava alla riunione del pomeriggio e avrebbe voluto ripercorrere le argomentazioni che intendeva usare per sostenere la sua tesi, ma faticava troppo a concentrarsi.
Infine si decise.
Alzò lo sguardo e facendo bene attenzione a non guardarla proprio negli occhi domandò:
-Posso fare qualcosa per lei, signorina?
Lei sorrise e sussurrò:
– Nulla, grazie
e smise di guardarlo.
Lui si sentiva molto stupido. Forse avrebbe dovuto spiegarle il suo disagio, detta così quella frase pareva un approccio maldestro e basta.

Tutto preso nei suoi pensieri non riusciva a riprendere a lavorare, anche se la sconosciuta non lo fissava più. Lui fingeva di lavorare, ma pensava a lei. Alzò gli occhi, lei guardava fuori dal finestrino. Li riabbassò sullo schermo. Le lanciò diverse occhiate, sembrava assorta in qualcosa di lontanissimo. Non lo guardava più.
Era deluso. Confuso. Forse anche un po’ arrabbiato. Pensava che se solo fosse stato meno impacciato avrebbe potuto parlarle ancora, poi scacciava questi pensieri, si dava dell’idiota e cercava di riprendere il lavoro. Questo era l’importante, il lavoro! Non tutte quelle sciocchezze. Ma non riusciva proprio a ritrovare la concentrazione.
Infine, dall’altoparlante gracchiò il nome della stazione a cui doveva scendere.
A malincuore radunò le sue cose e si alzò, avviandosi verso l’uscita e cercando di non degnare di uno sguardo quella donna che gli aveva rovinato la mattina.
Al momento di scendere lei lo superò. Si girò verso di lui e sempre sussurrando gli disse, fissandolo negli occhi:
– Ci incontriamo, ed è già il momento di dirsi addio.

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Bel racconto, mi piace l’aspettativa che genera nel suo sviluppo. E’ per questo che il finale mi ha lasciata un po’ così… insomma, non l’ho capito (il finale, intendo!)
minpepp (email) (link) – 23 07 06 – 14:20

Italia-Germania 2-0

La partita di calcio non la interessava un granchè. Aveva mandato un messaggio a un amico che aveva voglia di vedere proponendo un gelato, ma lui doveva lavorare. Lei aveva reagito male al rifiuto, delusa, e in seguito, puntualmente, si era pentita di essere stata troppo impulsiva. Fortunatamente c’era qualcuno che non guardava la partita e aveva mangiato nel cortile della cooperativa quasi senza accorgersi che il match era iniziato. Una breve passeggiata, caldo, troppo caldo per restare in giro. La piccola speranza di ricevere una telefonata “Ti interessa sempre quel gelato?” sempre più flebile. Le strade assolutamente deserte, si poteva camminare in mezzo alla strada ignorando i marciapiedi e tagliando gli incroci nei modi più assurdi. Le zanzare purtroppo sembravano accanirsi sulle pochissime persone presenti in giro. Sul tram, due tizi decisamente sciroccati chiedevano notizie della partita.
Era arrivata a casa verso la metà del secondo tempo, ormai pentita del suo atteggiamento anticalcio. Sembravano tutti radunati in una sorta di rito collettivo, solo lei era sola a guardare la partita con una specie di elefante russante addormentato di fianco sul divano.
Finita la partita era rimasta del tutto sola. Fuori, era tutto un suonare di clacson e di grida di giubilo che sarebbero andate avanti fino a tarda notte. Anche il cortile, apparentemente addormentato, tutte le persiane chiuse, risuonava delle voci dei vicini, radunati da qualcuno a vedere la partita. Il micio del vicino sembrava perplesso, potevi quasi vedergli un grosso punto interrogativo fluttuare sulla testolina, probabilmente si stava chiedendo quale follia avesse colto gli esseri umani tutto d’un tratto.

Dopo aver chiacchierato un po’ col micio non le restava che andare a dormire, anche se non aveva sonno e sapeva bene che avrebbe passato l’ennesima notte agitata.

Del calcio continuava a non fregargliene nulla, non aveva cambiato idea. Ma ricordava quando parecchi anni prima veniva comunque invitata dagli amici a vedere la partita, e ci andava, e si divertiva, e invece ora sentiva solo uno sgradevole senso di profonda estraneità rispetto a ciò che appassionava tutti quanti. Si sentiva esclusa e non le piaceva, e tuttavia si era esclusa da sola.

Domenica c’è la finale, per favore, qualcuno mi invita a vedere la partita?

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Non puoi immaginare quanto mi sia ritrovata in queste parole, con una sola differenza però: io perservero nel mio volermi escludere… Nessuno mi ha invitato a vedere la finale, ma è stato meglio così: mi sono risparmiata un penoso “no, grazie”…
minpepp (link) – 18 07 06 – 16:38

alla fine, sabato sera mi sono lasciata prendere da una crisi di nervi in piena regola. più ci pensavo e più l’idea di leggere quello che avrei scritto mi sconvolgeva. mi bastava pensarci per sentirmi il fiato corto e i battiti accelerati. e poi non avevo idea di quale tema proporre agli altri. altro che senso di inadeguatezza… avrei fatto più o meno qualunque cosa pur di non andarci, ma ormai era tardi per disdire e l’enfasi che ci mettono nel mandare le istruzioni mi bloccava. era una figuraccia comunque…

così domenica mattina mi sono regolarmente presentata, trafelata, un po’ in ritardo, con il mio pacchetto con la carta natalizia perchè era l’unica che avevo trovato… veramente avevo idea, sabato, di fare le cose con calma e di cercare la carta adatta, ma poi c’era un amico che doveva passare in negozio e non volevo che arrivasse propsio mentre io non c’ero, e alla fine ho aspettato tutto il giorno! è arrivato alle 19,20!

che dire.
è andata bene.

l’atmosfera era piacevolmente rilassata, il posto carinissimo, le altre persone amichevoli.

ho avuto il mio tema, “Ci incontriamo ed è già il momento di dirsi addio”, mi sono cercata l’ombra di un bell’albero e ho aspettato di trovare qualcosa da scrivere. non ci è voluto neppure troppo, anche se intorno a me c’era gente che già scriveva (e soprattutto ticchettava sulla tastiera del pc… rumore fastidiosissimo!). ho finito per l’ora di pranzo, che si svolge condividendo il piatto che ognuno ha portato.

nel pomeriggio, caldo, troppo caldo, ho risistemato ciò che avevo scritto, l’ho messo in bella copia e ho sonnecchiato un po’. ho parlato un poco con una gattina molto malata che si aggirava nel prato e che sembrava desiderosa di compagnia.

verso le quattro e mezza abbiamo inziato le letture. non avevo più paura, anche se almeno un paio dei primi racconti erano davvero belli e anche ben letti. il fatto che fosse lasciata libertà di andare al leggio, alzarsi, stare seduti, stare al proprio posto, era abbastanza rassicurante. ho letto tra gli ultimi, per casualità, e a quel punto avevo quasi voglia di farlo.
infine abbiamo cenato tutti insieme, rilassati e soddisfatti per la giornata.

il racconto sarà presto on line sul sito di Cascina Macondo, la prossima Scritturalia dovrebbe essere ai primi di ottobre.

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