ci ho messo qualche giorno a ricopiarlo al computer. non so, forse è che domenica l’ho scritto, poi l’ho riletto, rivisto, corretto e copiato di nuovo a mano, ma non riuscivo a trovare lo spirito giusto per lavorarci ancora su.
di cosa sto parlando? del racconto che ho scritto per Cascina Macondo.
se volete leggerlo lo trovate qui di seguito.
INCONTRI
Il suo motto era “Vietato perdere tempo”.
Odiava gli imprevisti, programmava tutto fino nei minimi dettagli in modo da ottimizzare i tempi e non sprecarne nemmeno un po’.
Odiava anche i viaggi, pericolosi sovvertitori dell’ordine, ma il suo lavoro lo costringeva a compierne parecchi. Lui ne avrebbe fatto volentieri a meno, stava così bene in ufficio!
Era solo un fastidioso effetto collaterale della sua perfezione. Doveva fare tutto al meglio, e in questo erano ahimè compresi anche i viaggi di lavoro.
Quando era stato assunto naturalmente si era dato anima e corpo alle sue nuove responsabilità, doveva essere il migliore e così era stato. In capo a pochissimi anni era diventato l’insostituibile braccio destro del direttore, un uomo col suo stesso carattere che avrebbe potuto trovare insopportabile quel suo “gemello” oppure riconoscerlo come tale.
Ma l’aumento di prestigio sul lavoro aveva portato un aumento di responsabilità e la costrizione a frequenti viaggi.
Non aveva mai dato molto peso allo squallore della sua vita sociale: non aveva certo tempo da perdere con feste, appuntamenti e altre sciocchezze del genere. La sera faceva sempre tardi in ufficio e quando tornava a casa spesso finiva per per continuare ancora a lavorare perchè gli era venuto in mente un qualche cosa che assolutamente andava rivisto.
Aveva un posto prenotato in prima classe. Odiava il treno. Se proprio doveva viaggiare preferiva l’aereo, più comodo e più veloce, ma questa volta la distanza era troppo breve e aveva dovuto obbligatoriamente scegliere il treno.
Era pieno, anche il vagone di prima classe era affollato. Mentre cercava il suo posto, sperava di trovarlo libero. Quanto erano sgradevoli le discussioni sul genere “Scusi quello sarebbe il mio posto”!
Fortunatamente lo era, ed era anche libero quello accanto. Meglio così, aveva più spazio, anche se i posti di prima classe erano già abbastanza confortevoli.
Tirò fuori il computer portatile, lo accese e si immerse nel lavoro, concentratissimo. Ci riusciva facilmente, se anche c’era rumore lui non lo sentiva neppure, tutto preso da ciò che stava facendo.
Verso la metà del viaggio fu costretto ad interrompersi per l’arrivo della donna che aveva prenotato il posto a fianco al suo; la fece passare, spostò alcune cose che aveva appoggiato sul sedile e riprese a lavorare. Leggeva, concentrato sullo schermo, ma non poteva non accorgersi di essere osservato. Quella donna non gli toglieva gli occhi di dosso!
Dapprima non se ne era quasi accorto, poi però man mano quello sguardo gli era come entrato dentro, lo metteva a disagio. Provò ad alzare gli occhi, più volte, rapidissimo, nel tentativo che lei non se ne accorgesse. Non notò molto, solo che lei non stava facendo assolutamente nulla se non osservarlo e questo lo metteva sempre più a disagio.
Non riusciva a lavorare.
Si sentiva quegli occhi chiari puntati addosso, come se volessero scavalcare la superficie e guardarlo direttamente dentro.
Spazientito, chiuse il computer e si alzò.
Non aveva un motivo per farlo, se non sfuggire a quello sguardo. Andò fino alla toilette, tornò indietro, provò a riprendere il lavoro.
Nulla, la concentrazione era svanita, assorbita da quegli occhi che lo fissavano con un’espressione tra lo stupito e il curioso.
Alzava spesso lo sguardo anche lui, irritato. Sperava forse di indurre lo stesso disagio che provava, ma sembrava assolutamente inutile. Lei continuava a guardarlo senza il minimo timore di essere notata, mentre lui non riusciva a fare a meno di abbassare frettolosamente gli occhi non appena lei, anziché fissare la sua cravatta – o almeno così gli sembrava – lo guardava direttamente negli occhi.
Pensava alla riunione del pomeriggio e avrebbe voluto ripercorrere le argomentazioni che intendeva usare per sostenere la sua tesi, ma faticava troppo a concentrarsi.
Infine si decise.
Alzò lo sguardo e facendo bene attenzione a non guardarla proprio negli occhi domandò:
-Posso fare qualcosa per lei, signorina?
Lei sorrise e sussurrò:
– Nulla, grazie
e smise di guardarlo.
Lui si sentiva molto stupido. Forse avrebbe dovuto spiegarle il suo disagio, detta così quella frase pareva un approccio maldestro e basta.
Tutto preso nei suoi pensieri non riusciva a riprendere a lavorare, anche se la sconosciuta non lo fissava più. Lui fingeva di lavorare, ma pensava a lei. Alzò gli occhi, lei guardava fuori dal finestrino. Li riabbassò sullo schermo. Le lanciò diverse occhiate, sembrava assorta in qualcosa di lontanissimo. Non lo guardava più.
Era deluso. Confuso. Forse anche un po’ arrabbiato. Pensava che se solo fosse stato meno impacciato avrebbe potuto parlarle ancora, poi scacciava questi pensieri, si dava dell’idiota e cercava di riprendere il lavoro. Questo era l’importante, il lavoro! Non tutte quelle sciocchezze. Ma non riusciva proprio a ritrovare la concentrazione.
Infine, dall’altoparlante gracchiò il nome della stazione a cui doveva scendere.
A malincuore radunò le sue cose e si alzò, avviandosi verso l’uscita e cercando di non degnare di uno sguardo quella donna che gli aveva rovinato la mattina.
Al momento di scendere lei lo superò. Si girò verso di lui e sempre sussurrando gli disse, fissandolo negli occhi:
– Ci incontriamo, ed è già il momento di dirsi addio.
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Bel racconto, mi piace l’aspettativa che genera nel suo sviluppo. E’ per questo che il finale mi ha lasciata un po’ così… insomma, non l’ho capito (il finale, intendo!)
minpepp (email) (link) – 23 07 06 – 14:20