Senza Titolo

Non so spiegare come mi sento. Erano due anni che lavoravo a questa roba, certo in maniera irregolare, ma due anni, un’infinità di tempo. E poi di colpo, in una maniera assolutamente beffarda, scopri che è finita.
Ho copiato. Inconsapevolmente, ma ho copiato. Ho letto un libro, ho dimenticato di averlo letto, e l’ho riscritto a modo mio. Con tante, troppe somiglianze. Cose grosse, non dettagli che si possono togliere o modificare. Dovrei stravolgere il carattere della protagonista per cambiare abbastanza.
E’ stato il mio socio di scrittura a farmelo notare, ma in maniera benevola. Non credo abbia capito del tutto la gravità di ciò che è successo. Mi ha consigliato di leggere quel libro perchè c’erano delle cose che somigliavano al mio personaggio. E io ho ubbidito, buona buona, curiosa. Avevo letto altre cose di quell’autrice, e l’avevo trovata assai mediocre. Poi avevo iniziato anche la seconda trilogia, questo me lo ricordo, ma ero convinta di averne letto davvero poco. La protagonista mi stava antipatica.
Antipatica!
Beh, no, lei non è uguale alla mia. Non completamente. Ma è la sua essenza che è identica. Per tre quarti di quel migliaio di pagine si strugge nel ricordo del suo antico maestro, morto per salvarla, a cui deve tutto. E io ho costruito tutto sul rapporto fra quei due, su come l’innocenza di lei in qualche modo lo salva da ciò che stava diventando, su come il loro rapporto da simbiotico diventi amore. Questa cosa, che all’inizio doveva essere quasi un contorno, piano piano è diventata il centro assoluto del racconto, ed è l’essenza stessa, uguale, del libro che sto finendo di leggere.
Non credo che saprò riprendere la scrittura. Quello che è successo è troppo.
Ma è durissima dire addio a qualcosa che mi ha tenuto compagnia per due anni, che mi ha fatto superare un’infinità di serate solitarie in cui finalmente c’era un obiettivo, scrivere. E che ha tenuto vivo il rapporto col mio socio di scrittura, altrimenti destinato inevitabilmente a finire in un sms di auguri a natale. E’ stata un’illusione anche quella, non c’è nulla che ci leghi se non il lavoro che stavamo facendo insieme. E se io non scrivo più, non c’è motivo per continuare a sentirci.
So già cosa mi dirà: che non si inventa niente, e che non è così evidente la somiglianza. In effetti di tutto quello che ho scritto al momento nell’economia finale della storia si salverebbe un capitolo e alcuni flashback qua e là. Ma non è questione di cambiare un episodio. Lei è uguale, e questo non si può cambiare. C’è una parte, che lui non ha mai letto, perchè l’avevo esclusa io a priori, non sapendo bene dove piazzarla e a cosa collegarla, che riprende pari pari il libro pubblicato. E che avevo completamente rimosso.
E pensare che ci dicevamo a vicenda per farci coraggio “Beh, dai, se hanno pubblicato XXX potrebbero pubblicare pure noi”… quante volte mi sono fatta questa battuta ignorando che proprio XXX avevo copiato?

Io a quel punto avrei preso il telefono in mano. Per una volta che si poteva, che non c’era nessun stupido ostacolo di mezzo. Arriva un punto in cui le parole di una mail non bastano. Potevi provare a convincermi che eri sincero, che davvero volevi sapere che cosa c’era che non andava. E invece, nulla. Nemmeno hai provato a insistere, mi hai dato implicitamente ragione sul fatto che lo stavi facendo solo perchè ti avevo scritto che non ti importava. E hai detto a un’altra quello che avrei voluto sentirmi dire io. Lo so benissimo che era tutto uno scherzo, ma sarebbe bastato. Era lo stesso un segno di interesse.
Invece ora devo fare i conti col fatto che non esisto neppure.
Oltre che con tutto il resto.

Per puro caso, Anne Tyler (attenzione SPOILER)

Da anni conosco e apprezzo Anne Tyler, ma questa volta sono rimasta perplessa. Intanto, ho preso questo “Per puro caso” etichettato come una novità e non lo è, è uscito nel 1995, anche in Italia. Vabbè, se non l’ho letto, che importanza ha in che anno è stato scritto? un po’ trovo che si senta, che ha quindici anni, e poi ho il sospetto di averlo letto all’epoca. Addirittura di avere l’altra edizione… ma la ricerca non ha dato esito, nè a casa mia nè da mia madre. Ci sono parti che mi sembra di ricordare e parti che mi paiono del tutto nuove. Mah. Tra un dubbio e l’altro, vado avanti. La storia nella sua banalità è avvincente, e i dettagli non li racconta quasi nessuno come la Tyler.
Poi arrivo alla fine, e mi cascano le braccia.
Ma come? Questa poveretta, che ha fatto una vita davvero squallida, che non è mai uscita dalla casa del padre visto che ci è entrato il marito e sono sempre rimasti a vivere lì, madre a vent’anni, che ha lavorato come “segretaria” del marito nell’assoluto anonimato, al punto che quando sparisce i suoi stessi familiari non sanno dire di che colore abbia gli occhi o che cosa indossasse l’ultima volta che l’hanno vista… alla fine torna a casa???
Che delusione.
Speravo in un riscatto di questa vita tristemente uguale a quella di tante di noi, e invece alla fine Delia Grinstead “decide” che il suo posto è a casa, col marito che non l’ascolta e i figli che danno per scontato tutto quello che fa per loro, la sorella che forse le insidia il marito ecc… o forse non decide affatto, forse semplicemente si ritrova lì per il matrimonio della figlia e non riesce più a tornare all’altra sua vita, quella minimal nel paesino di provincia dove si è ricostruita una vita, e dove un gatto, un ragazzino e suo padre la stanno aspettando. Cosa ne sarà del poveretto, che ha già subito l’abbandono della madre e che ora non vedrà più tornare la governante a cui è evidentemente affezionatissimo?
E la figlia? La figlia che pare destinata a seguire le orme materne, che non ha messo ancora il naso fuori casa e intende sposarsi col fidanzato che frequenta da sempre, che entra e esce di casa come se fosse sua, tanti sono gli anni che stanno insieme? In un soprassalto di intelligenza manda a monte le nozze, ma poi si fa abbindolare da un trucchetto stupido, dice che si sposerà se il fidanzato rimedierà a uno scherzo stupido che ha fatto a uno sconosciuto pochi giorni prima, e lui, che per carità, a lei sembra tenerci davvero, ci riesce, e lei allora dice sì, che lo sposerà. E nel frattempo quel ritardo nelle nozze (un paio di giorni) sarà fatale alla madre, che non riuscirà più a partire.
Che tristezza.
E Belle, l’affittacamere, che alla fine sembra intenzionata a sposare il terribile signor Lamb giusto perchè non le è riuscito di accalappiare niente di meglio? Forse è una figura ancora più tragica delle altre che popolano il libro.
Non un briciolo di speranza, nessun riscatto per questi poveracci, destinati a continuare la loro esistenza grigia e squallida un giorno dopo l’altro, senza orizzonte se non la morte.

Non che la Tyler sia allegra, di solito. Spesso i suoi personaggi sono dei falliti che non riescono a tirarsi fuori dalla loro grigia mediocrità, ma trovo che in questo “Per puro caso” si arrivi davvero al limite.

Disavventure con lo scanner

Uff.
Notoriamente, io non so tenere una matita in mano. Ma serviva decisamente una mappa dei posti di cui stiamo scrivendo, a forza di buttare lì punti cardinali non si capiva più nulla e ogni volta nelle note era tutto un “eh? a nord? ma non era ovest?” “sì, ma ovest in senso assoluto, però è nord se lo guardi da lì” che non convincevano nessuno.
Detto fatto, il mio “socio” è più deciso di me, ha preso carta e penna (biro!) e ha disegnato la cartina. E se ne è andato dicendo “vero che poi me la mandi dopo averla passata allo scanner?”
Io ci ho provato.
O meglio, mi sono messa, come quando andavo a scuola, in trasparenza sul vetro della finestra, ho ricalcato lo schizzo fatto a biro, ho ripassato i contorni col pennarello più spesso e poi non contenta l’ho colorato. E’ venuto tenue il colore, in effetti, ‘ste matite del supermercato sono un po’ una schifezza… però c’era. Passo allo scanner e il colore svanisce, resta solo un’ombra dove era più scuro e basta.
Così ora lo sto colorando al pc, cosa che so fare ancora meno che usando delle matite… ci vuole un mucchio di tempo e viene giù con l’accetta, senza sfumature, senza cambi tenui di colore ma tutto molto netto e pieno… mah.
D’altra parte, se troviamo qualcuno che ci pubblica, ci daranno anche il grafico che ci disegna la mappa, no?

Noia

Agosto in città, senza nulla da fare, senza la sensazione di essere in vacanza visto che non si trova uno straccio di lavoro decente. O anche non decente.
Se solo ci fossi riuscita, oggi avrei dormito tutto il giorno.

E finalmente ho ceduto… (attenzione: SPOILER)

harry-potter
Quando, nel 1997, uscì il primo libro di Harry Potter io avevo venticinque anni, non leggevo fantasy e mi consideravo troppo grande per un libro da ragazzi. Perciò lo ignorai, e proseguii tranquillamente per tutti i dieci anni e sette libri successivi. Nel frattempo avevo iniziato a leggere fantasy, anzi, a divorarla, ma Harry Potter non mi sembrava “degno” del genere. Maghi e streghe un po’ troppo contemporanei, un po’ troppo ragazzini e soprattutto un po’ troppo di successo. Ebbene sì, sono un po’ snob, lo ammetto. Ho letto la saga di Twilight solo perchè mi sono imbattuta nel primo immediatamente, molto prima che la quasi totalità delle ragazzine iniziasse a delirare sull’argomento, altrimenti mi sarei rifiutata, e ora guardo con un certo orrore al proliferare incontrollato di qualunque cosa contenga la parola “vampiro” nel titolo.

Ora ho ceduto. Negli ultimi sei mesi ho letto i sette libri, uno di fila all’altro a ritmo sostenuto (una pausa fra il 4 e il 5), e ho visto i film di pari passo, dopo aver finito il libro corrispondente.
Beh, che dire?
Sono stupita di un paio di cose.
Primo, di come io sia riuscita a passare in maniera del tutto “trasparente” attraverso la miriade di siti, discussioni, articoli e chiacchiere sull’argomento in questi anni. Ricordo nitidamente i resoconti del delirio collettivo all’uscita di un nuovo libro della saga, il polverone causato dal fatto che nel titolo del settimo libro era presente la parola morte, i litigi fra i miei amici per lo scherzo idiota di spoilerare il finale a chi non voleva sapere nulla prima di aver letto il libro.
Beh, io non lo sapevo.
Sono arrivata alle ultime pagine del settimo volume senza avere idea di come sarebbe finito, con una vaga idea che la Rowling c’era già andata giù abbastanza pesante per non mettere il lieto fine, ma senza alcuna certezza.
Secondo: benchè io abbia fatto il possibile (e anche con un certo successo, appunto) per ignorare il putiferio mediatico, Harry Potter ha immediatamente la faccia di Daniel Radcliffe e ce l’avrà sempre. Non riesco in nessun modo a staccarmi dalla rappresentazione cinematografica (assai mediocre), non riesco a pensare Harry diverso dall’attore, non mi viene proprio da dargli un aspetto anche solo vagamente diverso. In fondo nel libro non viene detto poi moltissimo sul suo aspetto, anche i famosi occhiali… mah… viene mai detto che sono tondi? forse sì, ma non ne sono mica certa…

Dal fatto che li ho letti tutti e sette si capirà che mi sono piaciuti. La storia è solida e sufficientemente intricata, la fine è soddisfacente e risponde ai vari interrogativi lasciati aperti qua e là, la “crescita” dei personaggi nei sette anni che si immagina siano intercorsi fra il primo e il settimo libro è notevole, e se i primi si leggono rapidi e paiono poco più di una favola per bambini, poi l’atmosfera cambia decisamente ed è gradevole anche per gli adulti.
Mi ha sinceramente un po’ stufato la struttura sempre uguale dei libri: nuovo anno scolastico, indizi che qualcosa sta andando storto, scontro finale che corrisponde con la fine della scuola… ma com’è che ‘sto Voldemort aspetta sempre maggio-giugno per sferrare il suo attacco annuale?
Dicevo del finale: sono arrivata agli ultimi capitoli senza avere idea di come sarebbe andata a finire, senza che ci fosse un vero indizio che lo suggerisse… e a dire il vero, non me ne fregava nulla. Che Harry Potter viva o muoia, che Voldemort venga sconfitto o no, non era ciò che volevo sapere… a dispetto del fatto che la saga sia assolutamente centrata sul suo protagonista (non esistono scene che riguardino gli altri personaggi in cui Harry non sia presente, è come se gli altri semplicemente non possano esistere senza Harry!) a me importava solo sapere la verità su Silente. Mi disturbava profondamente dover pensare che alla fine pure lui non fosse la figura positiva che era sembrata per tutti i libri. Lo so che non esiste il bianco assolutamente bianco (nè il suo contrario), e in fondo il contraltare mi ha soddisfatto: scoprire che Piton non era davvero così cattivo come sembrava e capire perchè aveva fatto quel che ha fatto me lo ha riabilitato parecchio (anche se la sua perfetta sovrapposizione visiva con Renato Zero rovina molto l’effetto…), ma alla fine Silente DOVEVA uscirne pulito, altrimenti mi sarei sentita truffata. Non tanto riguardo ai suoi errori di gioventù, a quelle idee vagamente nazistiche del dominio sui babbani e compagnia varia, che tutto sommato danno profondità al personaggio (insisto, il bianco perfettamente bianco non esiste…) ma l’idea, espressa nel settimo libro, che abbia deliberatamente ingannato Harry.
“L’hai tenuto in vita perchè possa morire al momento giusto?”
“Non esserne stupito, Severus”
“Tu mi hai usato”
“Sarebbe a dire?”
“Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te. Credevo che servisse a proteggere il figlio di Lily Potter. Adesso mi dici che lo hai allevato come una bestia da macello…”
Ma non era così. Silente non lo ha allevato come una bestia da macello, e il senso di tutte quelle lezioni del sesto libro in cui gli racconta la storia di Voldemort prima che diventasse Voldemort è tutto lì: gli ha insegnato proprio ciò che il suo nemico ignorava, l’amore. Harry non va a farsi ammazzare da Voldemort perchè *deve*, lo fa perchè *vuole* farlo, perchè pensa che sia la cosa giusta da fare. E il premio è che la maledizione senza perdono non funziona, e Harry sopravvive, e anzi, sceglie se tornare o no.

Brutti, proprio brutti i film. Sembra che ogni volta che c’è una scena che potrebbe far capire meglio i personaggi, gli sceneggiatori abbiano urlato “Attenzione! Tagliamo via tutto, c’è dell’approfondimento psicologico!!” Va bene che per metterci tutto dovrebbero essere lunghi almeno cinque ore l’uno, ma hanno davvero esagerato. Ci sono scene del tutto stravolte che appaiono insensate o che modificano la narrazione. Nel libro, Silente blocca Harry con un incantesimo in modo che non possa intervenire per salvarlo: sa benissimo che sta per essere ucciso, e come si scoprirà, buona parte della cosa è organizzata e voluta. Nel film, si limita a dirgli “Stai lì e non fare niente” e lui ubbidisce. Ma perchè? E soprattutto, visti tutti i pipponi che si fa di continuo, perchè non è tormentato dai sensi di colpa? Avrebbe potuto intervenire, forse avrebbe potuto evitarlo… Ma forse sarebbe stata una perdita di tempo essere coerenti e inserire anche quei tormenti.
Non sono sicura che andrò a vedere il settimo film quando uscirà. Pure in 3D, che con gli attori in carne e ossa fa ancora abbastanza pena. Mah. Vedremo.

Alla fine, anche Harry Potter è la solita, consueta storia che il mio master mi “accusa” di scrivere identica ogni volta che devo fare il background di un personaggio nuovo. Il nodo è sempre lì, nel rapporto col maestro.

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