Buon anno


Ho un rapporto difficile col Capodanno.
Quando ero bambina mi divertivo un sacco: dopo il Natale in famiglia andavamo al mare, a Borghetto Santo Spirito, ridente (?) località ligure, dove mia nonna aveva un alloggio in un orrendo condominio enorme, 10 piani, due scale, quattro o cinque alloggi per piano. Noi eravamo al secondo, vista torrentello ridotto a discarica dalla cucina e tettoia un metro più in basso (pure quella un po’ discarica) dall’altro lato. Il mare si intravvedeva di sguincio. A me piaceva. D’estate avevo la compagnia delle cugine poco più grandi di me che avevano un appartamento nella scala a fianco, ci vedevamo dal balcone, e d’inverno… boh, mi piaceva. Il mare fuori stagione mi è sempre piaciuto.
Non ho ricordi precisissimi, ma credo che il Capodanno perlopiù lo ignorassimo, o forse andavamo al K609, un ristorante-pizzeria dove eravamo di casa, e dove c’erano altri bambini più o meno della mia età, figli dei camerieri o dei cuochi (erano tutti fratelli, cugini, zii e nipoti).
Poi c’è stata la stagione dei Capodanno in montagna. Ad anni alterni, forse per non offendere nessuno, andavamo in montagna in Val d’Aosta ospiti dal fratello di mia madre, oppure nel Cuneese da una cugina di mio padre. In entrambi i casi c’era una cugina della mia stessa età, e io mi divertivo molto (più in Val d’Aosta perché avevamo molta più libertà e facevamo molto più casino, gli altri parenti erano seriosi e repressivi nei confronti della figlia e non potevamo mettere il naso fuori casa).

E poi è iniziata la stagione dell’Oddio cosa faccio a Capodanno?
Una traGGGedia.
I tentativi più o meno disperati di farsi invitare a una festa qualsiasi, dai compagni di classe più fighetti con casa idonea, pensando che sarebbe successo chissà cosa, che la mia vita avrebbe avuto una svolta solo perché ero a una festa. Tentativi di solito fallimentari, non avevo un buon rapporto con i miei compagni di scuola, alle superiori. per fortuna avevo un’amica, una ragazza che era stata mia compagna di banco in quarta ginnasio, e che poi aveva ripetuto l’anno, ed era finita in una sezione meno “complicata” della mia, e niente, mi ero fatta adottare da lei e dai suoi compagni, anche se all’epoca il fatto che avessero quasi tutti un anno meno di me era un grave difetto (specie i ragazzi! un anno di meno! ommioddio!)

Dopo i vent’anni la mia vita sociale è migliorata un po’.
Cioè… ho trovato altra gente con problemi di socialità e ci siamo uniti, diciamolo.
Anche lì, ogni anno c’era la corsa disperata a trovare una festa decente a cui farsi invitare, di quelle che ti avrebbero cambiato la vita, e non succedeva mai. Così, verso mezzogiorno del 31 dicembre, scattava il piano di riserva: tutti a casa di Cristina! Cristina aveva una casa grande, comoda da raggiungere, e due genitori che erano sempre via nel weekend e nelle feste. Il fratello, di sei o sette anni più grande di noi, viveva ormai per conto proprio. Così andavamo a fare la spesa nel vicino GS ora Carrefour, Sabrina che era brava a cucinare preparava deliziosi manicaretti per tutti, noi aiutavamo come potevamo, io facevo discreti dolci, Cristina era imbattibile nelle melanzane alla parmigiana, e nel corso della giornata raccattavamo altri disperati rimasti senza invito. Alla fine eravamo una decina, ci divertivamo, mangiavamo bene, poi guardavamo dei film per tutta la notte, o suonavamo la chitarra, o consolavamo quello/a in crisi sentimentale, che c’era sempre. Nessuno si ubriacava, nessuno fumava o si drogava. Beh, sì, un po’ bevevamo, ma nei limiti.
A venticinque anni ho conosciuto Enrico e mi sono presa la più devastante cotta che si possa immaginare. Non merita altra definizione, visto che non è praticamente successo niente. Cioè, mi ha messo letteralmente sottosopra l’esistenza, ma… ci siamo capiti, no? ecco…
Enrico aveva un insignificante difetto: una fidanzata da dieci anni, che viveva all’estero e tornava a casa solo a Natale e ad agosto. Lui faceva quello che voleva per tutto il resto dell’anno, e a volte anche quando lei era a casa… vabbè. Io passavo con lui tutto il resto del tempo, e con i suoi amici, ed ero finalmente socialmente appagata. Per la prima volta in vita mia avevo un giro di amici notevole, andavo regolarmente al cinema, a teatro, ai concerti, e c’era sempre qualcuno dei gruppo a cui interessava quella serata. Facevamo un sacco di cene, frequentavamo tutti una stessa associazione la cui sede era diventata una specie di pacifica comune dove stare nel tempo libero.
Dopo vent’anni mi sento di dire che sì, mi piaceva quel ragazzo, che era così assurdamente diverso da me, ma soprattutto mi piaceva quell’atmosfera libera e accogliente, quel sentirmi parte per la prima volta di qualcosa, accettata per quello che ero, senza nessun tipo di pregiudizio, senza la necessità di fingermi diversa da come sono.
A Capodanno c’era il dramma del ritorno della fidanzata, ma erano ormai talmente tutti miei amici che riuscivo a fregarmene, e a pensare di passare inosservata, protetta dalla maggiore familiarità con tutti, che lei, se mai l’aveva avuta, ormai aveva perso non frequentandoli abbastanza regolarmente. Andavamo tutti dalle parti di Ceva a casa della zia di Alberto, che mi pare svernasse in un posto meno isolato da qualche parente, o in montagna da Andrea. Eravamo venti o trenta, dormivamo per terra in un sacco a pelo confidando nell’effetto stalla per non morire di freddo, e anche lì non facevamo niente di speciale ma ci divertivamo un sacco. Forse proprio perché non facevamo niente di speciale.
Finita anche quella fase della mia vita, ci sono stati alcuni Capodanno in coppia, con alterne fortune. Ma almeno eravamo insieme.
Un anno abbiamo deciso di fare un viaggio, siamo partiti il 31 dicembre per andare a Londra, da soli e senza un piano. E’ stato un mezzo disastro. Un altro anno abbiamo prenotato in un locale, si sono dimenticati la nostra prenotazione, ci hanno aggiunto un tavolo incastrato vicino alla porta del cesso, eravamo l’unica coppia in mezzo a gruppi di amici, un disastro anche quello…

Da quando sono single, ho preso a odiare il Capodanno. Ho provato a mettermi in ghingheri, io e le gatte, a cucinarmi i piatti della tradizione, ad apparecchiare tavola per benino, e ho finito per piangere tutta la sera.
L’unico ricordo piacevole di un Capodanno recente è di un tre anni fa, mi pare. Ho “lavorato”. Facevo assistenza a una piccola compagnia teatrale che aveva organizzato una serata, cena più spettacolo. E’ andato tutto storto, abbiamo dovuto improvvisarci colf e camerieri, a mezzanotte stavano scolando la pasta, lo spettacolo è iniziato all’una e mezza (dove essere per tre quarti prima di mezzanotte e solo l’ultima scena dopo il brindisi) e abbiamo finito di pulire e sistemare alle cinque del mattino. Ma mi sono divertita come non succedeva dai tempi di Enrico. Mi sentivo di nuovo parte di qualcosa.

Quest’anno ho deciso che lo ignoro.
Continuo a essere single e vivo solo con una gatta, mi è rimasta quella un po’ strana e asociale, la Tonina se ne è andata a luglio dopo sedici anni di vita insieme e queste sono le prime festività senza di lei.
Come dice Monsieur Le Chat nella striscia che ho messo in alto, il 2018 deve amarmi per quello che sono (cliccateci sopra così la vedete ingrandita e riuscite a leggerla)
Niente tartine col salmone, niente cotechino con lenticchie, niente melograno, e niente brindisi.
Fanculo alle tradizioni.
Peggio non può andare…

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