A volte anche il mio “fiuto” fallisce ;)

Scelgo la maggior parte dei libri che leggo in maniera molto istintiva.
Spesso basta una suggestione, l’immagine di copertina, una frase letta di sfuggita sfogliando a caso il libro… e non sbaglio quasi mai. Pennac annovera fra i diritti del lettore quello di mollare a metà un libro che non ci piace, ma è una cosa che mi dà terribilmente fastidio, e che non faccio quasi mai.
Stavolta mi ha salvato la brevità del testo… è brutto da dire, ma sono “solo” una novantina di pagine, dai, leggiamolo fino in fondo… e poi magari migliora!
Ahimè, no.
Di ansia qui ce n’è pochissima, praticamente solo quella, devastante, invalidante, patologica della madre della protagonista, raccontata nelle prime pagine. E sì, da brava ansiosa era quello che mi aveva attirato. Speravo in qualcosa di terapeutico, in qualche modo. Che leggere nero su bianco le ansie altrui potesse insegnarmi ad avere ragione delle mie, o almeno a conviverci più serenamente.
Dopo queste prime pagine passiamo al presente. La protagonista è una donna forte, affermata, famosa. Ha un marito strano e antipatico e una tribù di figli, un po’ suoi un po’ del marito e un po’ di entrambi. Con questo marito odioso ha frequenti scontri che si trascinano in lunghi periodi di silenzi e di assenze, una relazione veramente squallida e deprimente. E poi ecco la svolta, il tumore. Alla donna viene diagnosticato un cancro, finisce in ospedale (pardon, clinica privata) e all’operazione segue la solita trafila della chemioterapia.
Trovo fastidiosa questa idea, questo cliché, di attribuire alla scoperta di una malattia grave il potere della svolta: Lea vede in qualche modo la malattia come un’opportunità di cambiare ciò che non va nella sua vita, e io la trovo una stupidaggine, o forse un’idea che ti puoi permettere se appunto fra possibilità economiche più che buone e assicurazioni private puoi evitare il più possibile i gironi infernali della sanità pubblica. Lea diventa egoista, sembra che tutto le sia permesso perché è malata, e vive come sospesa nelle giornate che separano una chemio dall’altra. Conosce un giovane insegnante di inglese, molto più giovane di lei, e vi intrattiene una relazione bizzarra, sempre in bilico, lui è innamorato e vorrebbe che lei ricambiasse, lei a lungo sembra decisa a non tradire l’orribile marito, poi di nuovo ci pensa il destino a decidere con evento esterno che li obbliga a interrompere la loro quotidianità, quindi di fatto Lea non decide un bel niente neanche questa volta, si lascia trascinare, lascia che le cose accadano, fino all’epilogo (e almeno questo non ve lo svelo, ma è prevedibile).

Deludente, deludente, deludente.
Il libro si salva solo perché Daria Bignardi scrive davvero bene, è scorrevole, fluido, ma il fastidio che ho provato per i personaggi principali mi ha spinto diverse volte a meditare di abbandonare la lettura. E forse non sapere come va a finire sarebbe stato perfino meglio…

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