bastata una conversazione con un amico che vede un po’ più in là delle apparenze, è bastato sentirsi dire quello che si sapeva già ma si faceva finta di non sapere o di non aver capito per vedere crollare tutto il castello. non va affatto bene, non può continuare così, non ha senso, non porterà da nessuna parte se non alla distruzione.
ma al momento non vedo come uscirne, non posso interrompere, non posso sparire. no, non voglio farlo.
stamattina alessio mi ha detto che non è sicuro che gli piaccia quello che diventerò una volta uscita da questo momento critico. neanch’io sono sicura che mi piacerò, non so come diventerò questa volta. il fatto che di solito il cambiamento sia stato in positivo non è una garanzia che lo sarà anche questa volta.
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Ciao! Sono l’umano amico del micione rosso con l’otite… Grazie per la solidarietà dimostratami a “casa” di Minpepp ___
ViktorNavorski (link) – 01 06 2005 – 21:08
Mi permetto di lasciarti queste parole a commento di questo post… Perchè lo so, come ci si sente. Lo so… Anch’io, a volte.
Non guarisco. Sono come una cicatrice, puoi solo truccarla con pesante fondotinta, ma presto tornerà a vedersi il solco. Sono come il muro di una metropolitana. Continui strati di vernice non cancellano i giochi degli artisti di strada: in trasparenza le scritte si scorgono ancora.
Non imparo. Sono come il mio videoregistratore. Anche se l’ho portato due volte a riparare mangia le cassette. Estrae il nastro dall’involucro di plastica, come a volerne addentare il contenuto, e lo arriccia, insoddisfatto, affamato, frustrato. Non potrà mai leggere un DVD.
Non comprendo. Sono come un ciuffo d’erba che spunta dal cemento, ad un angolo di strada. Incoerente e scioccamente ostinato, pretende un posto non suo. Sono come un vecchio vagone in coda ad un treno fiammante e modernissimo: utile, ma inadeguato.
Non m’arrendo. Sono come un cagnolino fedele che non si rassegna alla morte del suo padrone, e rimane per giorni e giorni sulla soglia di casa ad aspettarlo, invano. Sono qui, mi mangio le unghie, mi muovo tra le carte, con un click si può fare il giro del mondo. Ma il pensiero torna sempre lì. E sto mettendo le radici, davanti a quella porta.
Conosco la durezza delle giornate in cui aspetti qualcosa e quel qualcosa non arriva.
Sai che non può arrivare, te lo sei detto e il tuo cervello l’ha accettato.
Eppure in fondo sei lì ad aspettare proprio quella cosa già giudicata (per il momento) impossibile.
L’aspetti perché il bimbo che è in te strepita e non conosce il futuro, tantomeno il futuro anteriore. Conosce solo il qui e ora e se lo lasci fare è capace di divorarti tutti i modi e i tempi verbali lasciandoti con un indicativo nemmeno ben coniugato che ti ferisce e insieme all’angoscia solitaria vuole sbranarti il cuore.
Le giornate o le nottate sono troppo lunghe quando quel qualcosa non ti arriva. Prima di quel momento di solitudine, solitudine che può esistere anche in mezzo a mille mondanità, ti sei ripetuto che devi solo attendere il momento propizio, che quel messaggio o quella voce esiste per te, anche ora che per ragioni contingenti non ti si palesa nelle forme desiderate.
A quel punto, o ti fidi oppure stacchi. Scelta difficile perché ciascuno, per fortuna, momento per momento gode del libero arbitrio. Momento per momento ha il potere, anzi il dovere di scegliere ciò che lo fa stare meglio (o meno peggio).
Però quel bambino tiranno scalciante va anche educato: perfino quel bambino interiore deve imparare a capire che le fonti positive non hanno mai smesso di sgorgare. Come gli astri che continuano a brillare dietro la nuvolaglia.
ViktorNavorski – 01 06 2005 – 21:11