Ricordi

Quando ero piccola, preferivo sfacciatamente i nonni materni. Ma ovviamente di tanto in tanto mi toccava anche andare dall’altra nonna. Vedova e molto poco “nonna”, viveva in un alloggio enorme per una persona sola, al secondo piano, sempre un po’ buio, con la sala in cui veniva tirata su l’avvolgibile solo nelle grandi occasioni, sennò la luce del sole rovina i mobili.
Al fondo del corridoio c’era la vecchia camera di mio padre, che come si conveniva, era rimasta esattamente come l’aveva lasciata lui sposandosi.
E ora, se ci penso, mi vengono pure un po’ i brividi, perchè mio padre s’è sposato alla tenera (per l’epoca) età di anni 35, e quella stanza sembrava quella di un quindicenne.
In un angolo della stanza, in una posizione assurda per la luce, c’era una piccola scrivania completamente occupata da una enorme macchina da scrivere. Sinceramente, non ho idea di cosa fosse, probabilmente una Olivetti, visto che proveniva da una dismissione dell’ufficio del nonno, che lavorava per il Cotonificio Vallesusa, nel Canavese, ma non ne sono affatto certa. Era verde-azzurra, e molto ingombrante. Quindi non assomigliava a questa, ma pazienza.


Ecco, la macchina da scrivere era il tesoro a casa della nonna.
Se ne stava lì, coperta da una protezione in tessuto di nylon grigiastro, e aspettava solo me.
Mi piaceva molto il DLIN che faceva il carrello a fine corsa e avrei voluto saper digitare le parole velocissima, invece ero decisamente imbranata.

Molti anni dopo, quando a scuola dovevo scrivere a macchina la ricerca per l’esame di terza media, fu mia madre a battermela a macchina. Lei sapeva usarla, utilizzava tutte le dita per scrivere e aveva studiato apposta, anche se non lavorava più. Avevamo una macchina da scrivere più moderna, che io non amavo affatto. Ogni volta che sbagliavi, era una tragedia, bianchetto, riposizionare il foglio perfettamente allineato, ribattere e sperare che non si vedesse troppo…
Preferivo scrivere a mano.
Adoravo le penne stilografiche, con inchiostro blu cancellabile, finchè non mi accorsi che col tempo scoloriva, e passai al nero indelebile. Che aveva lo stesso problema della macchina da scrivere, quanto a correzioni, ma a quel punto della mia vita ero molto decisa, e non cancellavo mai nulla. E a mano, errori non ne facevo.
Quando scrivevo i temi, li facevo subito in bella, tanto sapevo perfettamente cosa avrei scritto.
Avevo ogni anno un’agenda, dal 1984 in poi. Di quelle belle grosse e spesse, che a fine anno era così “grassa” da non chiudersi più. Era il mio diario personale e il recipiente di tutto: lettere, cartoline, biglietti di cinema, pubblicità carine, adesivi, fiori… Dopo qualche anno diventò la Smemo, e andò avanti così a lungo.
Le ho ancora tutte, ovviamente.
Poi arrivò il pc, attorno al 1997, e qualche anno dopo il collegamento a internet.

La ricerca del blog perfetto è stata lunga e complessa, e forse mai del tutto soddisfacente, ma sono ancora qui.
E ora la tastiera, e la libertà di scrivere e cancellare, mi è indispensabile. Trovo faticoso scrivere a lungo a mano, non ci sono più abituata, mi stanco.
Ho ancora la passione feticistica per le penne stilografiche.
Vorrei possedere una Montblanc, che poi però non userei mai, visto quanto poco scrivo a mano…
Ma in borsa c’è sempre un’agenda. Piccola, il più possibile. Anzi, spesso non è nemmeno un’agenda, se non ha le date la preferisco. Serve per appuntarsi i titoli dei libri da leggere, i nomi per i personaggi delle prossime storie, le buone idee prima che sfuggano.

– Forse Sofia sta cercando solo se stessa…
– o un’alternativa al silenzio
qualcosa (o qualcuno) che gridi dentro di lei, che suoni la sua musica…

(la Sofia di cui si sta parlando è la protagonista di un racconto che sto (faticosamente) cercando di scrivere)
(e dopo aver letto Sofia si veste sempre di nero di Cognetti mi viene da pensare che fra le cose da ritoccare c’è anche il nome della protagonista. Anche se io l’ho pensato ben prima di conoscere quell’altra Sofia)

28. Andrea Camilleri Una voce di notte

Quest’anno doppio Montalbano.
Vado in libreria per tutt’altro e mi vedo questo nuovo libro e ovviamente non resisto, e come al solito lo leggo in due giorni.
Molto più siciliano del solito, mi pare, ma ormai ci sono abituata e lo leggo senza troppa fatica, e una nota al fondo che mi lascia un po’ perplessa: Camilleri specifica che ha scritto il libro da tempo e che se c’è qualche incoerenza con la trama degli altri libri è da imputarsi agli imperscrutabili piani editoriali.
So bene che la saga di Montalbano è terminata da tempo e che i libri sono nella cassaforte Sellerio, ma le incoerenze dovrebbero essere dovute a un ordine di pubblicazione diverso rispetto a quello pensato dall’autore, cosa che mi sembra assurda.
In effetti, un Montalbano un po’ sottotono, con la solita mania dell’età, un tormentone che sinceramente mi ha un po’ annoiato.
La trama gialla è impeccabile come sempre.

25. Paolo Cognetti Sofia si veste sempre di nero

Forse non dovrei parlare di questo libro, come non ho parlato degli altri di Paolo e di Elena Varvello, perchè sono stati miei insegnanti al corso di scrittura l’anno passato, e spero lo saranno di nuovo fra qualche mese nella nuova edizione.

Con Paolo poi sono sempre andata meno d’accordo, ha sempre criticato di più, rispetto a Elena, quello che producevo… e quando avevo letto un suo libro più vecchio (Manuale per ragazze di successo) non mi era piaciuto troppo.

Ma questo nuovo Sofia si veste sempre di nero mi ha conquistato.

E non era facilissimo… a luglio l’editore aveva pubblicato un estratto promozionale con qualche stralcio e l’avevo letto, restandone un po’ perplessa. Forse anche perchè avevo appena finito di leggere “Il tempo è un bastardo” e la struttura mi era parsa molto simile (è uscito un articolo che ne parla: http://www.boringmachines.org/?p=2147 )

Ma ora l’ho letto, anzi, ho fatto la solita cosa che faccio coi libri che mi piacciono… ho letto venti pagine il primo giorno, venti il secondo e poi ho fatto le due per finirlo il terzo! :P

Vabbè, ho già detto anche troppo. Mettiamo la citazione, e via.

A una persona puoi chiedere un po’ di compagnia. Ma non di fondersi con te, affidarti la sua vita e farne una cosa sola con la tua. Se chiedi questo all’amore, finisce che ti deludono tutti.

24. Kathleen MacMahon L’amore non ha fine

Ecco, cercavo la copertina da mettere come al solito qui di fianco, e ho perso un po’ di tempo a leggere recensioni. Ok, lasciamo stare quella sul sito dell’editore, che non può che essere di parte. Ma le altre? Ne ho lette almeno 10, e tutte sono positive. O almeno neutre.

Un blog che si autodefinisce caustico scrive “una delle migliori combinazioni tra sentimento e dramma disponibili in materia”, non so se mi spiego!

Quindi sono io che ho qualcosa che non va, perchè sinceramente boiate di questo livello non le leggevo per mia fortuna da un po’. Almeno da quel disgraziatissimo Diamante da Tiffany o come caspita si intitolava quella roba. E almeno quello l’avevo letto sapendo cosa stavo leggendo…

Invece da questo mi aspettavo un po’ di più. Magari non un capolavoro, ma un libro dignitoso.
Niente da fare, è una schifezza senza confini, senza limiti, con clamorosi buchi di trama.
C’è questo tizio, Bruno, un cinquantenne che ha perso il lavoro nel tracollo della Lehmann e che giustamente, da bravo neodisoccupato, che fa? Ma si compra un biglietto aereo e parte per l’Irlanda! Dove resta per mesi da turista… si vede che aveva un bel gruzzoletto da parte, il giovanotto, beato lui.
Bruno è terrorizzato dalle imminenti elezioni presidenziali americane e ha deciso che se Obama non vince non tornerà più a casa.
Ha scelto l’Irlanda perchè è la terra dei suoi avi e nella prima parte del libro di fa accenno a un qualche segreto che si cela nel profondo della famiglia, ma poi questo filone viene completamente abbandonato.
Bruno vuole ritrovare certi parenti che dovrebbero ancora vivere lì, e si mette in ricerca. I parenti, saputo che lui li sta cercando, paiono esserne terrorizzati, e questo rafforza l’idea che ci sia effettivamente un qualche segreto che prima o poi salterà fuori e spariglierà le carte, ma non è così.
Ad un certo punto Bruno riesce a conoscere Addie, che è una sua lontana cugina. Costei, quarantenne, single e con alle spalle una bruttissima storia di una gravidanza finita tragicamente, è la perfetta incarnazione della zitella senza speranza. Architetto, sognatore, ha visto il lavoro assottigliarsi sempre di più ma non se ne è preoccupata molto, tanto è ricca di famiglia. Passa le giornate passeggiando con il cane e nuotando e ignorando volontariamente quelli che sono senza ombra di dubbi segni di una malattia grave.  In più si occupa del padre, famosissimo medico dal leggendario pessimo carattere che ha avuto un incidente a dir poco ridicolo e ha entrambi i polsi ingessati.

Bruno e Addie si innamorano e per loro fortuna fanno tutto molto in fretta, visto che appunto Addie è malatissima e quando si decide a farsi vedere le danno tre mesi di vita. Naturalmente, come si confà a un libro di questo genere, la malattia è almeno in una prima fase “pulitissima” e i due possono sposarsi e andare pure in viaggio di nozze.

Finale con tragedia generale, il padre ammazza la cagnolina (vabbè, senza volerlo, ma il risultato non cambia) ma tanto Addie sta così male che scambia il rumore del materasso ad acqua per il respiro del cane e non se ne accorge nemmeno e all’ultima riga del (corposo) libro muore in pace con se stessa e col mondo, mentre il padre ha ritrovato la famiglia e Bruno è ormai integrato e tutti vissero felici e contenti….

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