31. William Gibson Neuromante

Questa lettura ha una storia molto strana.
Non è il mio genere (e in effetti non mi è neanche piaciuto un granchè) e in circostanze normali non credo che l’avrei letto.

Cyberpunk, un genere che in effetti non ho mai frequentato molto, trovandomi un po’ a disagio nelle rare occasioni in cui mi sono trovata per esempio a giocare all’omonimo gioco di ruolo.

Anzi, cyberpunk per eccellenza. Questo libro è considerato la base del cyberpunk, e per questo l’ho scelto fra le mille letture che avrei potuto fare sull’argomento.

Primo romanzo di Gibson, è unanimemente considerato il manifesto del genere cyberpunk e l’opera che ha imposto il medesimo all’attenzione del grande pubblico; è stato il primo romanzo ad aggiudicarsi tutti i maggiori premi letterari dedicati alla science-fiction.

La vicenda raccontata è piuttosto confusa e contorta, si arriva alla fine senza aver capito bene che cos’è successo e soprattutto perchè. Però la lettura è scorrevole e non ho fatto troppa fatica ad andare avanti anche se non mi era molto chiaro dove stavo andando…

E ora, il motivo di una scelta tanto bizzarra.
Questa a lato è Grace.
Qui è grezza.
E’ una miniatura alta 35mm.
Ora, io non so tenere un pennello in mano. Ci ho anche provato, ma è meglio che lasci fare a chi è capace…
Comunque, chiacchierando una sera vengo a sapere che il mio amico pittore ci sta iniziando a lavorare, la guardo, così, grigia, e me ne innamoro.
“Sono curiosa di vedere che cosa ne tirerai fuori” dico, sapendo che ha l’abitudine di arricchire le miniature che dipinge con un sacco di dettagli.
“C’è poco da inventare” mi risponde “è quasi tutta pelle”

Quella frase “c’è poco da inventare” mi tormenta. Non è vero, ci sono un sacco di cose da inventare. Chi è Grace? Com’è diventata così? E la creatura che porta in grembo, con chi l’ha concepita? Sarà un bambino completamente umano o no?
Abbozzo un racconto su Grace.
In realtà avrei voluto finirlo e regalarglielo prima del debutto di Grace a un concorso di pittura, poi non ci sono riuscita. E Gibson doveva essere una lettura “illuminante” per non dire troppe stupidaggini o ingenuità.
Questa è Grace finita. L’ha messa in diorama con massi e cactus e un lucertolone con tanto di sella e sacco a pelo arrotolato… al fondo una foto (non bella…) del lavoro finito. E’ molto diversa dall’idea che ne avevo io, dalla Grace che avevo in mente mentre cercavo di scrivere il racconto. La mia Grace era molto più cupa di questa, e la cosa mi ha un po’ spiazzato, ma ovviamente si tratta di due percorsi completamente diversi che non si sono mai sfiorati.
Prima o poi magari riuscirò a finire il racconto.

senza titolo

e poi, proprio quando il caos raggiunge il limite, quando è piuttosto chiaro che si sta per scatenare il temporale, e ti chiedi se davvero sarà un semplice temporale, o se verrà smentita la nota citazione “non può piovere per sempre, proprio in quel momento, arriva.
e te lo aspettavi così poco che lì per lì non ci credi, e gli fai le pulci, cerchi il difetto, la fregatura. perchè DEVE esserci, da qualche parte, la fregatura.
poi il temporale arriva, si scatena, e più o meno passa. o almeno concede una tregua. e ti rendi conto che ce l’hai fatta, sei ancora viva, e se sei ancora viva il motivo è uno solo.
basta resistenze.
le farfalline nello stomaco, quelle che credevi non avresti provato mai più, quelle che con la loro assenza ti avevano fatto dire con certezza no, è qualcos’altro, le farfalline nello stomaco non mentono mai.
e neanche la sensazione di vago rincoglionimento.
ecco, questo post era così poetico, avrei anche potuto cercare un altro modo di esprimere il concetto…

non sarà una nuova capocciata, vero? no, perchè a forza di prenderne ho paura che prima o poi il muro abbia la meglio…

alle volte le persone arrivano al momento giusto nel posto giusto. anche se sulle prime non sembrava. quasi a salvarti dall’ingarbugliare ancora di più l’intricata matassa.
e quello che sembrava impossibile diventa più semplice.

Sofia tirò un respiro di sollievo leggendo le due righe di cui era composto il messaggio e si lasciò cadere sul divano. Poi si rialzò e improvvisò un balletto per la stanza.
Aveva risposto, finalmente.
Ogni volta che Giovanni scompariva per un po’, apparentemente senza motivo, Sofia andava nel panico. Passavano le ore e lei diventava sempre più nervosa. Controllava se lui era on line, se aveva scritto qualcosa su Facebook e la sua agitazione cresceva. Se lui non aveva scritto niente, in capo a un giorno iniziava a immaginarsi le peggiori disgrazie, nonostante le fosse razionalmente chiaro che i suoi pensieri erano al limite della follia. Se invece lui aveva tranquillamente lasciato normalissime tracce sulla rete, Sofia riusciva a convincersi che questo significava che lui era arrabbiato con lei e che non le parlava apposta. Allora iniziava ad analizzare l’ultima mail che lei gli aveva spedito, o le sue parole in chat, cercando di capire dove avesse sbagliato. Era per forza colpa sua, non c’erano altre spiegazioni. Il passo successivo era disseminare Facebook di frasi più o meno criptiche, che lui avrebbe dovuto capire, e una volta compreso l’avrebbe certamente cercata. Il più delle volte non succedeva niente e le frasi ricevevano il “mi piace” insensato di qualche amica.
Più il tempo passava, più Sofia era in ansia. Arrivava a star male fisicamente, ad avere mal di testa a causa della tensione. E quando la risposta arrivava, perchè arrivava, e di solito Giovanni non era affatto arrabbiato con lei e non si era accorto di niente, a Sofia faceva l’effetto di un bicchiere di vino bevuto in un solo sorso a stomaco vuoto.
Il mondo tornava in asse, il sole splendeva e lei era perfettamente felice.
Fino alla volta dopo.


(dopotutto, non credo che cambierò il nome. Sofia mi piace troppo, e Paolo non ha mica l’esclusiva…)

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